Prima di iniziare questo lavoro sull’etica bisogna considerare l’evoluzione storica dell’osteopatia in Italia.
Questa professione è relativamente giovane da noi, i primi osteopati in Italia arrivano negli anni Novanta con formazione prevalentemente inglese o francese.
A distanza di venti-trent’anni la professione si è diffusa velocemente grazie alla sua efficacia, ma l’evoluzione legislativa e formativa non si è ancora adeguata.
In Italia non esiste ancora un ordine legalmente riconosciuto e la formazione è del tutto privata, con scuole serie che scelgono di adeguarsi agli standard internazionali e purtroppo altre che formano gli allievi in poco tempo e con grosse lacune.
Diventa perciò molto difficile avere standard etici uniformi sia tra colleghi sia rispetto alle altre professioni sanitarie.
Giornalmente mi trovo in studio pazienti che ricevono trattamenti completamenti inadeguati sia dal punto di vista osteopatico che medico, con comportamento inappropriato da parti dei colleghi o meglio pseudo-colleghi e anche con esiti di trattamenti chirurgici o medici in generale sbagliati o non necessari vista il carattere prettamente funzionale della problematica.
In questo caso sono sempre in difficoltà se dire sempre e comunque la verità, o comunque quello che penso, al paziente o mentire parzialmente per non suscitare reazioni sgradevoli sia da parte del paziente sia da parte del professionista il cui comportamento non è stato appropriato.
L’etica professionale si può definire come quella parte dell’etica che concerne l’esperienza lavorativa e professionale del soggetto.
Per professione si intende una generica attività lavorativa con la quale il lavoratore offre una prestazione.
Le cose diventano più precise quando per professione si intende un’attività “altamente qualificata, esercitata da soggetti che hanno acquisito una competenza specialistica attraverso un lungo iter formativo e di tirocinio” (Premoli De Marchi, 2012) ad esempio, le professioni di avvocato, notaio, medico e in teoria anche di Osteopata.
Diventa logico l’esistenza quindi di un ente superiore, normalmente un ordine professionale, che giudichi in modo imparziale e tenendo conto dei principi etici le responsabilità personali dei suoi iscritti, tenendo presente le peculiarità di ogni professione e dettando le linee guida dei codici di comportamento. In Italia per il momento questo non avviene ancora, complicando non poco la situazione in caso di dispute tra colleghi e soprattutto con altri professionisti sanitari, in primis i medici.
La responsabilità personale ha un ruolo fondamentale nell’etica professionale. Il buon professionista è quello che si assume la responsabilità di ciò che fa.
Bisogna poi essere disposti ad agire professionalmente in modo corretto nei riguardi della collettività, rispettando le norme e le consuetudini nel proprio ambito lavorativo, ma anche in senso più generale per il bene comune e la giustizia.
Una questione importante per l’etica della nostra professione è se si possa parlare di responsabilità collettiva. È normale che se un gruppo di teppisti distrugge un locale la responsabilità riguarda un gruppo di persone, anche se poi ognuno dovrà risponderne personalmente.
Come già affermato in precedenza in Italia la formazione in Osteopatia è molto eterogenea e alcune volte di scarsa qualità. Nel corso dei miei anni di lavoro mi sono trovato di fronte a colleghi che affermavano di curare malattie neurologiche, tumori o altre importanti patologie con i propri trattamenti, screditando tutta la categoria di fronte all’opinione pubblica e di fronte agli altri professionisti sanitari e non rispettando nessun principio etico. Una volta di più si sente la mancanza di un organo superiore che freni e punisca questi atteggiamenti, in modo da non screditare tutta la categoria.
Importante diventa anche la correttezza dei rapporti interpersonali. Questo aspetto concerne tutti i tipi di relazione, con il paziente e con i suoi famigliari, con i colleghi, con i superiori e con gli altri professionisti della sanità. Su quest’ultimo aspetto mi soffermo un attimo perché nel nostro paese l’osteopatia non è ancora assunta al rango di professione sanitaria riconosciuta e codificata e quindi spesso non è facile comunicare con altre professioni sanitarie alla pari a questo proposito è interessante la mia situazione personale. Lavoro come Osteopata in un importante team di atleti professionisti francese (in Francia l’osteopatia è riconosciuta e regolarizzata) dove non esiste nessun problema di comunicazione tra professionisti sanitari, semplicemente perché tutti sanno di cosa si parla e i ruoli sono ben definiti. Lavoro poi in Italia e spesso trovo difficoltà a lavorare in squadra perché il mio lavoro non è ben conosciuto sia dal punto di vista tecnico, morale ed anche etico.
Altro aspetto dell’etica della professione è la competenza professionale. Naturalmente è una condizione necessaria per essere un buon professionista ma sicuramente da sola non basta. L’etica della professione copre un ambito molto più ampio della semplice competenza. Ad esempio, un medico può essere molto bravo nella diagnosi di malattie rare ma può non avere idea di come comunicare ai suoi pazienti cattive notizie. In questo caso ci troviamo di fronte ad un soggetto molto preparato nella conoscenza teorica, ma scarsamente formato dal punto di vista etico, formazione che spesso fa la differenza tra il semplice laureato in medicine ed il bravo medico.
Il fine delle professioni sanitarie sta nel promuovere il bene del paziente in senso lato senza limitarsi ad agire solo verso la patologia.
L’etica è profondamente associata alle professioni sanitarie che, anche se richiedono competenze tecniche importanti, consistono comunque in relazioni tra individui.
Spesso si considera che questo concetto sia formato quasi esclusivamente da regole da seguire, da divieti da rispettare, da comportamenti corretti in assoluto da tenere in determinare circostanze. Non è così semplice, le norme, le leggi diventano spesso solo dei criteri che ci guidano verso una determinata decisione che sia la migliore possibile per tutelare la libertà, la dignità e il rispetto verso gli altri ed in particolare verso i nostri pazienti.
Anche le decisioni su questioni etiche devono passare attraverso l’esperienza e la pratica riflessiva. Dobbiamo imparare anche dai nostri errori precedenti analizzando attraverso uno spirito critico le conseguenze che le nostre azioni hanno portato. Analizzando il tutto con profondo spirito critico e riflessivo.
Lo schema di riferimento per le regole etiche è senza dubbio l’opera di T. Beauchamp e J. Childress “Principles of biomedical ethics” pubblicata nel 1979.
Questa opera estende l’applicazione dei concetti etici a tutta l’area biomedica e sistema in modo ordinato questi concetti in modo da rinforzarne la capacità normativa e di linee guida.
Il primo principio che emerge da questa opera è il “principio del rispetto dell’autonomia” considerato anche il “primo fra i pari” perché è una componente necessaria degli aspetti degli altri tre (Gillon, 2003).
Secondo questo principio ogni persona ha il diritto di avere delle opinioni, a fare delle scelte e quindi a compiere azioni in piena autonomia. In campo sanitario questa regola obbliga i professionisti a comunicare le informazioni ai pazienti ed ad accertarsi che questi le comprendano pienamente in modo da poter prendere decisioni in modo assolutamente libero.
Il medico o il professionista sanitario in generale non deve mai servirsi dell’autorità che deriva dalla propria posizione per condizionare le scelte del paziente che deve quindi decidere sempre in piena autonomia.
Viene poi descritto il principio della “non maleficità”, secondo il quale esiste l’obbligo assoluto di non “arrecare intenzionalmente danno”. Secondo questo concetto è necessario astenersi del tutto dalle azioni che possono arrecare danno al paziente. Questo concetto deriva dal concetto di Ippocrate “primum non nocere” (Ippocrate, 1999).
Il “principio di beneficità” afferma che è necessario prevenire possibili danni, eliminare eventi possibilmente nocivi, promuovere ed effettuare azioni che vadano verso il raggiungimento del bene e proporzionare i benefici in relazione ai costi ed ai rischi. Questo è un principio non perfetto, in quanto non è possibile agire con beneficità nei confronti di tutti ed in ogni caso.
Beauchamp e Childress dividono poi la “beneficità generale” da quella “specifica”. La prima viene considerata come un insieme di azioni effettuate nell’interesse altrui in generale, la specifica invece è l’espressione di relazioni particolari e specifiche, come quelle inerenti al ruolo di genitori o allo specifico ruolo professionale.
L’ultimo principio preso in esame è quello di “giustizia”. Su questo concetto si basa la giusta ripartizione dei benefici, dei rischi e dei costi. Non esiste una regola assoluta, i criteri di giustizia possono venire applicati in modo variabili a seconda delle situazioni e delle esigenze.
Secondo questi principi l’etica può essere considerata quella parte della filosofia che analizza le azioni umane in relazione ai principi e ai valori a cui si ispirano. Le valuta in relazione a questi concetti teorici e ne verifica la correttezza e la congruità.
La morale può essere definita come un insieme di valori e norme considerate corrette e adeguate nell’ambito sociale, l’etica è l’esercizio e l’analisi che l’uomo esegue per giustificare a sé stesso e verso la società razionalmente tali valori e principi (Ponti, 2017/2018).
Nello sviluppo futuro della nostra professione, come del resto avviene già da anni per le altre professioni sanitarie, diventa necessario ed auspicabile applicare questi principi etici anche al nostro lavoro (Edwards, 2009).
Come già accennato nell’introduzione di questo saggio è necessario considerare lo stadio ancora embrionale dello sviluppo e della regolamentazione dell’osteopatia in Italia.
Ancora oggi non tutti i professionisti sanitari medici e non, conoscono e tengono in adeguata considerazione i principi ed i concetti su cui si basa la nostra professione. Spesso non siamo ancora considerati professionisti che basano le proprie azioni su concetti anatomici, fisiologici ben chiari e spiegabili, spesso veniamo additati come cialtroni e guaritori che non agiscono secondo i concetti moderni dell’evidence based medicine.
Semplicemente spesso gli altri professionisti sanitari non sanno in cosa consiste il nostro lavoro, non hanno la minima idea che molte volte un sintomo di un paziente può avere un’origine funzionale e non necessariamente patologica, “sono restii ed abbandonare teorie a loro care e fanno fatica ad esplorare nuove metodologie” (Buzzell, Elliott, & Irvin, 2015).
Nella mia esperienza quasi tutti i pazienti effettuano un percorso di guarigione rovesciato, invece prima di tutto di valutare se il disturbo è di origine funzionale e quindi di competenza osteopatica si rivolgono subito soprattutto a medici chirurghi, i quali vista la loro formazione a volte approcciano il problema in modo non conservativo ed esagerato.
Solo quando i problemi persistono o peggiorano i pazienti si rivolgono all’osteopata il quale può agire parzialmente visto che la struttura è stata alterata in modo permanente.
A queste problematiche si aggiunge la scarsa qualità della formazione a volte impartita in Italia, quindi spesso il paziente si rivolge anche a professionisti non in grado di dare risultati e risposte adeguate, screditando quindi irrimediabilmente tutta la categoria.
Molte volte mi è capitato di dare risposte concrete ed avere buoni risultati su pazienti che avevano già consultato numerosi professionisti.
Il mio dilemma in questi casi diventa quindi come comunicare in modo chiaro ed etico, nel rispetto dell’autonomia del paziente e permettendogli di agire secondo i concetti della giustizia qual è il percorso terapeutico migliore e più efficace, senza screditare in modo diretto gli altri professionisti a cui si erano rivolti in precedenza.
Non credo che il mondo sanitario italiano agisca consapevolmente a volte in modo non etico, sono convinto che spesso manchino le informazioni necessarie per approcciare il problema nel modo più appropriato proprio per la mancanza di riconoscimento e quindi di regolamentazione del nostro lavoro.
Riflettendo su queste problematiche mi sono convinto che il modo migliore e più eticamente corretto è proprio prendersi il tempo necessario per spiegare ai pazienti che nessuno ha agito nei loro confronti in malafede, semplicemente le conoscenze evolvono e presto anche nel nostro paese il nostro sarà un lavoro normale, diffuso e con controllo degli standard formativi e qualitativi. In questo modo non c’è bisogno di mentire ai pazienti, semplicemente bisogna dire la verità con calma e senza paura delle possibili conseguenze.
Alla fine di questo seminario formativo sui principi etici in generale e applicabili alle professioni sanitarie mi sento di dire una volta di più che non basta avere conoscenze tecniche molto approfondite per essere ottimi terapeuti.
Bisogna anche avere comportamenti moralmente ed eticamente ineccepibili e grandi doti di comunicazione con i nostri pazienti in modo da informarli in modo preciso in che cosa consistono le nostre azioni, che risultati si possono spettare a breve e medio termine in modo che partecipino loro stessi alla scelta del percorso terapeutico migliore e più efficace “un patto di cura basato sulla fiducia” (Ricoeur, 2006).
Personalmente e a volte in modo quasi imbarazzante mi sono trovato a dover giustificare i miei risultati e a dover rispondere alla domanda “perché nessuno me l’ha mai detto prima?” ma devo dire che grazie alla diffusione sempre maggiore del nostro lavoro e con professionisti sempre più preparati questo succede sempre di meno.
Bibliografia
Beauchamp , T., & Childress, J. (n.d.). Principles of biomedical ethics. Oxford university press.
Buzzell, K., Elliott, L., & Irvin, M. (2015). Fondamenti Fisiologici della medicina Osteopatica (2 edizione ed.). Futura Publishing Society.
Edwards, S. D. (2009). Nursing Ethics: A Principle-based Approach (2 ed.). Palgrave Macmillan.
Gillon, R. (2003). Gillon R. (2003). Ethics needs principles–four can encompass the rest–and respect for autonomy should be “first among equals”. Journal of medical ethics, 29(5), 307-312.
Ippocrate. (1999). Il giuramento e altri testi di medicina greca. Milano: RCS Libri.
Ponti, S. (2017/2018). Dimensione Morale etico Sociale delle Scienze Infermieristiche ed ostetriche. Ferrara: Università degli studi di Ferrara – Facoltà medicina e chirurgia.
Premoli De Marchi, P. (2012). Introduzione all’etica medica. In 10.L’etica della professione e la responsabilità del medico (pp. 159-169). Torino: Accademia University Press.
Ricoeur, P. (2006). Il giudizio medico. (B. I., Trans.) Brescia: Morcelliana.